Benazir Bhutto
Era una grande donna con un amore cosi speciale ed unico per
la sua patria, voleva modificare e migliorare diversi settori e soprattutto
leggi che opprimevano il Pakistan. Una donna lottatrice e tenace che non ebbe
nessuna intenzione di mollare e nonostante abbia deciso di auto-esiliarsi per 8
anni in Dubai e successivamente in Inghilterra. Oggi come oggi , tantissimi
donne soffrono ancora il vuoto di Benazir , insostituibile. Era cosi facile di
arrivare al suo sogno che però è stato frantumato da qualcuno che odiava
Benazir, uno che era conservatore delle antiche tradizioni, dove la donna
contava molto poco o nulla. La sottomissione della donna in Pakistan è sempre
evidente fino ad oggi. Domani 27/12/2007 è l’anniversario della sua morte che
speriamo non era accaduto per niente è che tutte le donne del mondo lottino per
questa libertà più verbale che realtà. Che tutti gli stati del mondo intero
iniziano ad eliminare questi scandalosi leggi che opprimono e offuscono le
donne in diversi paesi dove regna soprattutto la dittatura e il fanatismo
religioso. Credo che dovrebbe giungere il momento di dividere tra religione e
la vita personale dell’essere umano. Che il uomo impari a rispettare i culti,
le fede altrui ed accettare i suoi simili nel bene o nel male. Uguaglianza
significa anche diversità per comprendere se stessi e gli altri. La donna deve
essere pari all’uomo in tutti i sensi. Un detto del profeta Maometto: “ Il
paradiso è sotto i piedi delle mamme”, sotto i piedi delle femmine e non dei
padri, i uomini.
· Benazir Bhutto è stata una politica
pakistana. Ha ricoperto per due volte la carica di Primo Ministro del suo
Paese: dal 1988 al 1990 e dal 1993 al 1996. A lei è stato intitolato
l'Aeroporto Internazionale Benazir Bhutto a Islamabad. Wikipedia
Benazir Bhutto era la figlia primogenita
del deposto Primo Ministro pakistano Zulfiqar Ali Bhutto e di Begum Nusrat
Bhutto, quest'ultima di origini curdo-iraniane.
Il nonno paterno sir Shah Nawaz Bhutto era invece un sindhi,
ed era stato una delle figure chiave del movimento indipendentista pakistano.
Effettuati gli studi intermedi in
Pakistan, nel 1973 conseguì la laurea in scienze politiche presso l'università statunitense di Harvard. Si
trasferì in seguito ad Oxford per studiare politica, filosofia ed economia presso il St Catherine's College.
Non ancora ventenne, divenne assistente del padre nel suo lavoro.
Tornata in Pakistan dopo gli studi
universitari, subì gli eventi che condussero dapprima alla deposizione, quindi
all'esecuzione di suo padre per volere del dittatore al potere, il generale Muhammad Zia-ul-Haq, e fu
relegata agli arresti domiciliari.
Quando, nel 1984, ottenne il permesso di tornare nel Regno Unito, divenne leader in esilio del Partito Popolare
Pakistano (PPP), già presieduto dal padre.
La sua influenza sulla vita politica
pakistana restò tuttavia limitata fino alla morte di Zia-ul-Haq (17 agosto 1988). Alle successive elezioni (16 novembre), il PPP ottenne
la maggioranza relativa all'Assemblea Nazionale.
Benazir entrò in carica come Primo Ministro il 2 dicembre, dopo la formazione
della coalizione di governo, divenendo così, all'età di trentacinque anni, la
persona più giovane ma anche la prima donna a ricoprire l'incarico in un paese
musulmano contemporaneo.
Fu destituita nel 1990 dall'allora presidente della Repubblica
dietro accuse di corruzione, e il PPP perse le elezioni tenutesi nell'ottobre
dello stesso anno. Restò a capo dell'opposizione al governo di Nawaz Sharif, leader della Lega Musulmana-N, fino al 1993, quando una nuova consultazione decretò la vittoria del
suo partito e l'inizio del suo secondo mandato da Premier. Tale mandato fu
nuovamente segnato da accuse di corruzione - che colpirono anche il marito di
Benazir, Asif Ali Zardari, oggetto di voci e in parte opinioni
pubbliche come "Mister 10%" per le tangenti che avrebbe preteso dagli
uomini d'affari (opinione che non si è mai scrollato di dosso nemmeno dopo
l'assoluzione dall'accusa di riciclaggio da parte del Tribunale Svizzero) - che
condussero a una seconda destituzione nel 1996.
Dopo questa data e fino alla modifica della Costituzione da parte di Pervez Musharraf (2002) non poté ricandidarsi, essendo esclusa per legge la
possibilità di un terzo mandato.
Rientro in Pakistan
Trascorsi così otto anni in esilio
volontario tra Dubai e Londra, il suo ritorno in patria per
prepararsi alle elezioni nazionali del 2008 fu funestato il 18 ottobre 2007 da un attentato che causò 138 vittime e
almeno 600 feriti. Le esplosioni ebbero luogo a Karachi durante un corteo di sostenitori che
accoglieva l'entrata dell'ex Primo Ministro nella città, subito dopo il suo
arrivo all'aeroporto. Benazir Bhutto, su un camion blindato dal quale salutava
i cittadini e sostenitori, rimase illesa.
Gran parte delle vittime presenti tra la
folla erano membri del Partito Popolare Pakistano. Il giorno seguente l'ex
Premier accusò il governo del presidente Pervez Musharraf[2] di non aver preso provvedimenti preventivi
affinché la strage, della quale era stato dato l'allarme da parte dei servizi
segreti prima delle esplosioni, fosse scongiurata. Anche in mancanza di
rivendicazioni da parte dei reali mandanti degli attacchi suicidi Benazir
Bhutto dichiarò di essere certa che questi fossero avvenuti per mano di un
gruppo di matricetalebana e sicuramente anche di
un gruppo di seguaci dell'ex dittatore Muhammad Zia-ul-Haq,
autore del golpe contro il governo del padre Zulfiqar Ali Bhutto.
All'indomani della strage di Karachi, nel clima di tensione instauratosi, anche
a causa delle operazioni militari fatte scattare dal governo nei confronti
delle roccaforti talebane nel nord del paese, la Bhutto fu costretta agli
arresti domiciliari che furono revocati solo grazie alle pressioni statunitensi.
Il 2 novembre 2007, venne trasmessa da un programma di approfondimento di Al Jazeera English,
un'intervista concessa da Benazir Bhutto a Sir David Frost, uno dei più famosi giornalisti della BBC con quarant'anni di esperienza
nell'intervistare personalità di primo piano. Dopo soli sei minuti di
conversazione il giornalista domandò ragguagli circa la lettera che Benazir
Bhutto - prima di ritornare in Pakistan - aveva inviata al presidente Pervez Musharraf. Nella
risposta, pochi giorni dopo essere scampata al sanguinoso attentato del 18
ottobre, Benazir Bhutto elencò i nemici indicati al presidente, e tra questi
citò un ufficiale dei servizi segreti pakistani che, disse, aveva avuto rapporti con Omar Sheikh,
ossia colui che – disse la Bhutto – "ha assassinato Osama bin Laden".
Frost non sembrò cogliere la sensazionale rivelazione circa l'avvenuto omicidio
di Bin Laden e proseguì l'intervista lasciando cadere la questione. La BBC ritenne che si fosse
trattato di un lapsus, tanto più che nei giorni seguenti la
Bhutto rilasciò interviste parlando di Bin Laden come ancora vivo.
Assassinio
La Bhutto trovò la morte il 27 dicembre 2007 in un nuovo attacco suicida avvenuto al
termine di un suo comizio a Rawalpindi, a circa 30 km dalla capitale Islamabad. Nell'attentato morirono almeno 20 persone e altre
30 rimasero ferite. Gli attentatori, dopo aver sparato diversi colpi d'arma da
fuoco contro la Bhutto, fecero esplodere una carica, forse da un attentatore
suicida, vicino all'ingresso principale del luogo dove si erano radunate
migliaia di persone per assistere al comizio. Trasportata immediatamente in
ospedale, la leader pakistana dell'opposizione morì poco dopo a causa della
gravità delle ferite riportate, in parte dovute anche al violento spostamento
d'aria causato dall'esplosione. Il presidente pakistano Pervez Musharraf condannò l'attentato compiuto a sua detta da "terroristi
islamici", voce che fu confermata da Mustafa Abu
al-Yazid, capo delle operazioni dell'organizzazione terroristica al-Qa'idain Afghanistan, uno dei fedelissimi del numero due di al-Qa'ida,
l'egiziano Ayman al-Zawahiri, che avrebbe ordinato personalmente
l'assassinio.
Tuttavia il marito della Bhutto, Asif Ali Zardari, accusò
il governo di Musharraf quale responsabile dell'attentato. A questo proposito
occorre ricordare il ruolo del potente servizio segreto pakistano, l'ISI
(Inter-Services Intelligence), sostenitore dei talebani sin dai tempi dell'invasione sovietica
dell'Afghanistan del 1979, sotto la direzione di Akhtar Abdur
Rahman quando al governo vi era il dittatore Zia-ul-Haq, e mai epurato dagli
elementi fondamentalisti da Musharraf, se non con cambiamenti di facciata ai vertici dello stesso.
Altri commentatori, invece, osservano come
l'attentato fosse avvenuto all'indomani della stretta intesa raggiunta tra lo
stesso Musharraf e il presidente afgano Hamid Karzai, che avrebbe dovuto incontrare anche la Bhutto
per una strategia più stringente nella lotta ai Talebani che controllano di fatto il confine tra i
due paesi. Un'intesa favorita attivamente dagli USA.
Al-Qa'ida tuttavia negò ogni addebito con
la smentita del leader talebano Baitullah Mehsud il quale escluse ogni
coinvolgimento nella vicenda. Dello stesso Mehsud fu intercettata una telefonata
nella quale avrebbe parlato con gli uomini che hanno organizzato l'attentato.
Trascorsi almeno tre giorni dalla morte,
come vuole la tradizione, fu aperto il testamento dove tra l'altro veniva
nominato il figlio primogenito, allora diciannovenne, Bilawal Bhutto Zardari a capo del Partito. Di fatto però fu il vedovo Asif Ali Zerdari,
formalmente co-presidente, a guidarlo, mentre il braccio destro di Benazir, Makhdoom Amin
Fahim fu candidato a primo ministro, stante
l'impossibilità di poter eleggere a tale carica, secondo la legge pakistana,
una persona con meno di 25 anni.
Il 26 aprile 2013 una corte pakistana ha
posto Musharraf agli arresti domiciliari in relazione alla morte di Benazir
Bhutto
Benazir Bhutto
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